Se vi proponessero di impiantare un microchip nel vostro cervello accettereste? Se per molti la risposta sarebbe un fermo NO, per altri potrebbe essere un aperto “dipende…”. Dipende dalla necessità che si ha, dalle potenzialità che questa tecnologia potrebbe generare e dai rischi che ne potrebbero conseguire.
Questa domanda l’ha iniziata a fare Neuralink qualche tempo fa per arruolare utenti tester al fine di validare la propria tecnologia. Attiva dal 2016, infatti, la società di Elon Musk ha sviluppato un microchip cerebrale impiantabile nella scatola cranica direttamente sul cervello, con l’obiettivo di comunicare con l’organo dei pensieri, leggendo l’attività neurale e rispondendo con impulsi comprensibili dal nostro corpo.
Per quanto possa sembrare fantascientifico, sta succedendo davvero ed il primo utente ha un nome: Nolan Arbaugh, un ragazzo di 29 anni rimasto tetraplegico a causa di un incidente durante un free-dive che pur non muovendo più né gambe, né braccia è perfettamente cosciente ed in grado di comunicare. Nolan si è sottoposto a questo test e qualche giorno fa, Neuralink ha pubblicato un video insieme al suo first user mostrando come, grazie a questa tecnologia, il ragazzo riesca a giocare una partita a scacchi con la “forza del pensiero” e a finire una gara di Mario Kart solo immaginando in che direzione mandare Luigi e quanto farlo accelerare.
Nolan Arbaugh che gioca a Scacchi
Nel video, Nolan spiega come riesce a controllare il puntatore sul monitor e descrive la cosa come un semplice pensiero di immaginare un movimento, o quantomeno di provare a farlo. E sorprendentemente sembra funzionare!
Questa modalità di interazione con il dispositivo non è nuova. Infatti già dai primi anni 2010s la neuro-protesistica ha fatto grandi passi in avanti e nel 2020 alcuni studi dell’Università del Michigan mostravano video di pazienti con arti amputati che riuscivano a compiere azioni di una buona precisione grazie a delle innovative protesi. Questi dispositivi, connettendo i nervi muscolari ai nervi periferici del moncone dello stesso arto in modo da amplificare i segnali inviati ed a comunicare con il software della protesi, sono stati in gradi di leggere questi segnali dalle dimensioni incredibilmente piccole che, con il rumore di fondo, risultano complicatissimi da interpretare.
La soluzione si è dimostrata efficace e l’utilizzo di queste protesi abbastanza intuitivo, mantenendo però una caratteristica abbastanza scomoda: la presenza di cablaggi esterni per connettere i nervi e di una ampiezza di applicazioni molto limitata.
In questo, il prodotto di Neuralink può essere considerato rivoluzionario, visto che potrebbe avere applicazioni su molte aree e funzioni del nostro corpo ed comunicare anche verso il nostro cervello, non solo da esso. Ma l’azienda di Elon Musk non è la sola a tentare strade più audaci.
Presentazione Youtube Neuralink
Recentemente, alcune società, prevalentemente statunitensi, come Precision Neuroscience, Blackrock Neurotech e Synchron, stanno lottando per l’approvazione e per l’adozione in campo medico delle loro tecnologie. La prima ha l’obiettivo più ambizioso e sta lavorando per ottenere tutti i permessi necessari entro il 2028, per poter offrire una nuova speranza a coloro che affrontano le sfide della paralisi.
In questo senso, partire proprio dalle applicazioni sanitarie potrebbe rappresentare infatti la carta vincente per queste società consentendogli di far sbarcare il prodotto sul mercato.
Mostrando gli effetti positivi sulla vita di un paziente come Nolan, infatti, Neuralink potrà contare sull’approvazione non solo di chi pesa i benefici più dei rischi, ma anche sull’appoggio di coloro che hanno vissuto o che stanno vivendo, direttamente o indirettamente, situazioni di disagio e malattia a causa di impedimenti così importanti e riuscire così a giustificare l’invasività della soluzione.
D’altra parte, dovendo superare una serie di sfide e verifiche necessarie a portare il prodotto sul mercato, in un momento in cui ancora non sappiamo abbastanza sul nostro cervello, potrebbe risultare in un blocco delle attività. Pensate che nel nostro cervello ci sono oltre 80 miliardi di neuroni con oltre 1.000 sinapsi ciascuno e dispositivi come Neuralink riescono a leggere a malapena 10.000 sinapsi (solo lo 0,0000000125%).
Ma dovremmo averlo imparato… l’innovazione di frontiera non è per i cauti e Musk in questo rimane sempre in prima fila.
Proprio qualche giorno fa ha infatti dichiarato che “Neuralink darà la vista ai ciechi. La qualità della vista all’inizio sarà bassa, simile alla grafica delle prime console per videogiochi Nintendo, ma alla fine potrebbe superare quella umana”. Magari con una videocamera integrata in un paio di occhiali smart sarà possibile inviare segnali al chip che potrà dialogare con l’area del cervello deputata ad elaborare i segnali provenienti dagli occhi.
Con il lavoro di Neuralink e dei suoi competitor, siamo di fronte ad un salto tecnologico incredibile che potrebbe impattare anche il mondo della ricerca per comprendere il nostro cervello e per come affrontiamo le malattie neurodegenerative.
Ma gli studiosi sono ancora scettici: una cosa è interpretare il segnale dal cervello, un’altra è stimolare e ripristinare.
Nonostante le critiche e le posizioni ideologiche sulle possibili conseguenze negative di un chip nel cervello, siamo indubbiamente di fronte ad una nuova frontiera tecnologica che aprirà le porte ad una interazione con i dispositivi e con la realtà senza precedenti.
Ovviamente, come per tutte le tecnologie (ed in particolar modo per quelle bio-medicali) il processo di validazione, sperimentazione e verifica delle implicazioni di sicurezza sarà lungo e dovrà tenere conto della complessità della cosa.
Stiamo parlando infatti di un prodotto che dialoga con il sistema nervoso, la parte più complessa del nostro corpo, che ancora nasconde dei misteri e che potrebbe recepire tecnologie del genere in modi inaspettati, in senso positivo o negativo…
Le possibili applicazioni che un chip nel cervello potrebbe avere in futuro sono numerosissime, così come le verifiche necessarie per comprenderne funzionamento, sicurezza, protocolli di manutenzione, privacy e tanto altro.
Secondo voi potremmo arrivare ad “uploadare” conoscenza e tecniche nel nostro cervello come Morpheus con il Kung-fu? E se potessimo andare oltre il famoso 10%?