Accelerare e rendere sistematico il processo di creazione di nuove imprese: è questo il motivo per cui nasce un incubatore per startup secondo la definizione ufficiale fornita dalla Commissione Europea e che trova conferma nei fatti, osservando l’attività realizzata da quelli attivi anche sul nostro territorio. In Italia nel 2020 si contavano già 197 tra incubatori e acceleratori, di cui un 40% nelle regioni del Centro Sud stando ai dati di Social Innovation Monitor (SIM) che sottolinea una prevalenza di incubatori per startup privati ( oltre il 60%) e una crescita del + 15% rispetto al 2019.
L’emergenza sanitaria non ha quindi scoraggiato il sorgere di nuove realtà dedicate al supporto delle imprese innovative, anzi: Next Heroes è stata lanciata da Velvet Media a gennaio 2021 proprio per aiutare le startup nate durante pandemia. Tra gli incubatori più recenti anche WeSportUP, attivo da novembre 2020 grazie ad un investimento CDP Venture Capital, e Millennials Xlab, corporate incubator lanciato a dicembre 2020 e che vede tra i “selezionatori” anche Lventure Group.
Per l’obiettivo che si pongono gli incubatori di startup, si rivela essenziale infatti avere un legame con gli investitori, perché il percorso iniziale delle nuove imprese supportate possa avere un seguito con il minor numero di discontinuità possibili. Questo vale per il “dopo” mentre per il durante, ciò che può fare la differenza per le startup incubate, soprattutto se tech, sono le collaborazioni con le università, player fondamentali nel processo di innovazione del Paese.
Indice
Incubatori per startup: obiettivi e tipologie
Visti in numeri e i “nuovi nati”, si può dire che gli incubatori siano realtà ormai consolidate con il ruolo di accompagnare le nuove attività imprenditoriali e possono agire perseguendo molteplici obiettivi quali ad esempio la nascita di start-up in settori particolarmente innovativi e la commercializzazione di tecnologie all’avanguardia, come anche lo sviluppo economico di un’area svantaggiata, la creazione di occupazione o la diffusione dell’imprenditorialità.
In Italia i primi sono comparsi negli anni Ottanta su spinta del settore pubblico, in particolare attraverso la Società per la Promozione e Sviluppo Imprenditoriale (SPI), ma col tempo se ne sono sviluppati anche di natura diversa tanto che oggi se ne possono individuare di 4 categorie. In “ordine di comparizione”: Business Innovation Centres (BICs), incubatori universitari, incubatori privati indipendenti e incubatori privati dipendenti da grandi imprese. A queste vanno aggiunte altre tre tipologie di incubatore per startup nate negli ultimi anni per rispondere al meglio alle nuove necessità delle imprese che si affacciano su un mercato sempre più competitivo e globale: gli incubatori virtuali, gli indie incubator, i social incubator. I primi non offrono servizi “fisici” ma si focalizzano sull’accompagnamento manageriale, il tutoring e l’advisoring, i secondi si distinguono per il loro approccio più imprenditoriale che meno finanziario e puntano su aziende con business model già funzionanti e un’intuizione già validata dal mercato che genera cassa. I social incubator, in crescita anche grazie alla centralità che gli SDG delle Nazioni Unite stanno conquistando nelle agende dei decision makers, si focalizzano invece su startup a impatto sociale.
Come non confondere incubatori e acceleratori
Spesso affiancati e censiti assieme, incubatori e acceleratori differiscono per la tipologia di attività e di tutorship e per la modalità di collaborazione che mettono in campo, come nel caso di quella con le università. Inoltre intervengono nella vita di una startup in fasi completamente diverse e questo significa che non si escludono a vicenda: ci si può rivolgere prima all’uno poi all’altro in base al grado di maturità raggiunto e ai propri obiettivi.
Gli incubatori per startup forniscono prima di tutto una sede fisica ai nuovi imprenditori e mettono a disposizione contatti e consulenza inserendoli in una rete sociale e imprenditoriale fertile e attiva e coinvolgendoli in eventi di networking esclusivi. Dal punto di vista economico, alcuni investono anche nelle startup che selezionano ma accade di rado; in generale possono garantire un finanziamento a fondo perduto, partecipare direttamente mediante l’apporto di capitale oppure creare contatti con eventuali investitori come ad esempio Business Angel e Venture Capital.
Questo tipo di “trattamento”, che può durare anche 36 mesi, è riservato a chi è all’inizio della propria avventura imprenditoriale con delle idee ancora da portare sul mercato e necessita di mentor che lo aiuti a testare e validare il progetto grazie a strumenti come ad esempio il Business Model Canvas, il Sales Pitch o il Minimum Viable Product.
Gli acceleratori, diversamente dagli incubatori, sono soliti investire nelle startup che ritengono potenzialmente di successo e la loro attenzione è rivolta a startup già solide, con il loro prodotto/prototipo pronto e le idee chiare sui propri obiettivi. Ad esse offrono percorsi di pochi mesi, spesso volti a trasmettere competenze mirate ad uno specifico bisogno e in cui i mentor mirano ad innescare una crescita che la startup da sola impiegherebbe anni a fare.
Incubatori per startup: conoscerli per scegliere quello giusto
Non deve stupire il fatto che gli incubatori, come anche gli acceleratori, perseguano generalmente obiettivi economici, nel caso di quelli pubblici possono essere legati ad una strategia d’innovazione e competitività di un territorio mentre nel caso dei privati si concretizzano in una partecipazione azionaria al capitale poi remunerata con l’exit. Allo stesso modo non deve stupire il fatto che entrare in un incubatore possa costare, questo non deve diventare un elemento scoraggiante per le imprese nascenti ma lo sprone per cercare chi possa finanziare questo percorso, meglio ancora se affiancandole nella non facile scelta.
È difficile ma se l’idea, seppur ancora in stato embrionale, vale, si trova chi è disposto a scommetterci e a mettere a disposizione la propria esperienza per identificare l’incubatore per startup adatto a trasformarla in un successo. È molto importante infatti conoscere a fondo l’ecosistema di realtà che si propongono per percorsi di incubazione e che per primi spesso faticano a farsi conoscere: un atteggiamento maggiormente proattivo potrebbe certamente aiutare chi sta cercando quello che fa per lui. Non è infatti immediato orientarsi da soli nell’offerta, ne esistono di varia natura che differiscono non solo per i servizi proposti ma anche per le collaborazioni in grado di innescare, per i network in cui essere inseriti e anche per i settori di specializzazione. Proprio come sta accadendo per il mondo degli investitori professionali, infatti, anche quello degli incubatori sta evolvendo verso la specializzazione e se ne vedono nascere in tanti segmenti tech come MedTech, Fintech, BioTech, FoodTech, PropTech, DeepTech etc.
Un’altra distinzione importante da fare in fase di selezione è quella tra realtà più tecniche, e quindi più focalizzate allo sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative spesso basate su intelligenza artificiale, machine learning, AR/VR, blockchain e IoT, e realtà più orientate al business e al networking quindi adatte a chi ha esigenze più commerciali e di partnership.