In uno scenario così particolare come quello che stiamo vivendo in questo 2022, caratterizzato da cambiamenti significativi sia nella politica monetaria che negli sviluppi della geopolitica europea, è necessario riconsiderare alcuni aspetti per ottimizzare le proprie scelte di investimento e ribilanciare la strategia di Asset Allocation nel lungo termine.
Non ci dovrebbe dunque sorprendere che i mercati si stiano ricalibrando, anzi dovremmo aspettarci un’intensificazione di questi spostamenti di capitale, che porteranno ad un prolungato regime di volatilità nel futuro più prossimo. Ma, nonostante la minaccia di una forte stretta monetaria, le immagini inquietanti dell’invasione Russa dell’Ucraina e le continue turbolenze del mercato, siamo ancora lontani da una recessione globale, specialmente dai livelli visti nel 2008. Infatti, lo sviluppo della domanda, rimasta repressa durante i mesi di pandemia, continuerà a sostenere i bilanci nei mercati azionari. Come spesso accade saranno presenti variazioni regionali, specialmente tra EU e US, sia nell’appiattimento del potenziale di crescita europeo che nell’aumento dei nostri costi dell’energia. Invece, i mercati Americani rimarranno perlopiù stabili durante questo periodo, grazie alla loro posizione di predominanza nei mercati di capitali e di indipendenza energetica.
Sebbene i mercati resisteranno a questo periodo di incertezza, la pressione dovuta all’aumento dell’inflazione si sta rivelando più persistente del previsto. L’impatto della guerra in Ucraina ha sui prezzi delle materie prime crea un rischio, da non sottovalutare, sulla possibilità di aumento dei prezzi nel 2022. Ancora una volta saranno presenti forti variazioni regionali. Come possiamo già vedere, negli Stati Uniti l’inflazione si sta già facendo strada negli affitti e nei salari, portando la Federal Reserve (FED) a passare rapidamente a un tono profondamente aggressivo, mentre in Europa l’inflazione si è fatta sentire per ora più al livello dei titoli, invece in Cina rimane ancora generalmente debole. Ci si può però aspettare che questo nuovo regime inflazionario caratterizzi tutto il resto dell’anno. Portando ad un ambiente nettamente diverso per l’Asset Allocation rispetto al periodo precedente.
Questo spiega il motivo per il quale i maggiori asset manager hanno cominciato una vendita sistematica di azioni negli ultimi mesi, specialmente ogni volta che l’indice dei prezzi al consumo o il prezzo del petrolio supporta l’idea che le pressioni inflazionistiche siano qui per rimanere.
La preoccupazione è una questione di finanza elementare: quando i tassi di sconto scendono, i prezzi degli asset aumentano e viceversa. A parità di condizioni, l’importo che gli investitori sono disposti a pagare per un asset aumenta insieme al valore attualizzato dei suoi futuri cash flows, il che significa che l’aumento dei tassi porta ad un calo del valore degli asset oggi. Questo cambia le carte in tavola: piuttosto che seguire il trend in un mercato sostenuto da multipli in aumento, gli investitori devono nuotare controcorrente cercando di aumentare il valore. Generare rendimenti in un tale ambiente può essere molto più difficile.
Ebbene per la maggior parte degli investitori la domanda chiave diventerà: come posso proteggermi da questo spike di inflazione?
La prima risposta che potrebbe venir in mente è quella di dirigersi verso il mercato obbligazionario. Tipicamente la risposta delle banche centrali a periodi di alta inflazione è un aumento repentino dei tassi di interesse, come abbiamo visto nel passaggio a un regime nettamente più aggressivo dei tassi impostati dalla Federal Reserve. Un tasso di interesse si traduce in un aumento dello yield obbligazionario, attraente per l’investitore – ma non riduce con certezza e velocità il tasso inflazionario, il quale può facilmente erodere il ritorno dell’investitore.
La seconda è di spingersi verso il mercato azionario, specialmente investendo su market leaders dai buoni od ottimi cash flows. Qui, sfortunatamente, il problema rimane lo stesso: l’inflazione continua ad erodere il ritorno.
Un’alternativa all’erosione del ritorno si ritrova nel mondo degli investimenti alternativi, per lo più caratterizzati da un livello di illiquidità. In questo modo la prima asset class che spicca all’occhio è quella del Private Equity. Ma proprio per il PE la ricerca dei ritorni al quale gli investitori sono ormai abituati è sempre più dura.
Quanto dura? È sicuramente la domanda al centro dell’attenzione per investitori in private equity. Indipendentemente dal fatto che si creda o meno che l’inflazione sarà una realtà duratura, è chiaro che il private equity dovrà affrontare una doppia minaccia: l’aumento dei tassi e dei costi per le società in portfolio. Da un lato, i dealmaker che hanno beneficiato dell’aumento dei multipli negli ultimi due decenni rischiano di andare incontro a valutazioni appiattite. Dall’altro, le pressioni inflazionistiche sui costi e la conseguente pressione sui margini rappresentano una minaccia reale per quasi tutte le società in portafoglio.
L’alternativa? Il venture capital. Il Venture Capital, specialmente quello concentrato su investimenti early-stage non soffre la stessa pressione da parte del tasso di inflazione, e tantomeno dal tasso di interesse. Il portfolio di un VC concentrato su startup molto giovani è caratterizzato da un Beta di mercato molto basso, quasi asincrono con lo stesso. Ovvero, una startup ancora nelle fase iniziali di sviluppo del proprio prototipo, e ben finanziata, non soffre i problemi di marginalità tipici di un’azienda già ben strutturata. Anzi, le agitazioni di mercato e dell’economia reale portano allo scoprirsi di interessanti opportunità di espansione, e lo sviluppo del proprio prodotto può essere facilmente adattato ad un gap di mercato appena nato.
Ed il rischio? Si sente spesso dire che il VC è una classe di investimento ad alto rischio, e sebbene sia sicuramente un investimento meno prudente dell’obbligazionario porta con sé ritorni molto più alti. La metodologia di investimento dei VC si basa infatti su una solidità statistica, che li porta ad investire più che in persone od idee, nelle giuste industrie, cioè industrie con rendimenti superiori alla media di mercato. Investendo in aree con tassi di crescita elevati, il rischio si sposta dall’idea alla capacità di esecuzione del management della startup. Area in cui la nostra esperienza porta un importante valore aggiunto.