Per meglio capire i recenti sviluppi nel mondo delle criptovalute e per meglio predirne il loro futuro, dobbiamo prima soffermarci sulle promesse della blockchain.
Dalla sua presentazione, il protocollo Bitcoin ha dato vita ad una visione collettiva di un futuro decentralizzato. Un futuro caratterizzato da un vero scambio peer-to-peer, alimentato da un database distribuito che utilizza la crittografia moderna per validare ogni transazione. Oggi, persone da tutto il mondo celebrano e scommettono sul grande potenziale che la blockchain potrebbe avere di rivoluzionare l’economia globale.
Da quel giorno abbiamo assistito alla creazione ed introduzione di molte criptovalute, ognuna presentata agli utenti con diverse promesse, ma tutte accomunate dall’intenzione di diventare un mezzo di scambio duraturo. Proprio da qui Bitcoin ed Ethereum sono cresciuti per arrivare ad una capitalizzazione di mercato cumulativa oltre i $ 300 miliardi, che molti prevedono potrebbe raggiungere $ 1 trilione entro la fine dell’anno.
Tuttavia, nonostante questo aumento di prezzo e interesse, le criptovalute sono ancora utilizzate principalmente a fini speculativi. I frequenti picchi e crolli del loro valore, così come la volatilità quotidiana, impediscono a molti player, sia piccoli che grandi, di utilizzare queste valute nelle transazioni quotidiane, come l’acquisto di beni o servizi.
Per far sì che si possa creare un sistema finanziario basato sulla blockchain, c’è bisogno di un mezzo di scambio stabile che ne denomini le transazioni – ovvero una valuta con un andamento stabile e perlopiù prevedibile.
Da qui nasce il concetto di stablecoin, ovvero un approccio nuovo all’idea di criptovaluta che però si basa su concetti base di macroeconomia. Lo stablecoin è una criptovaluta caratterizzata da una bassa volatilità rispetto ad una valuta ancora, ad esempio il Dollaro. Una criptovaluta quindi che cerca di distaccarsi da agenti speculativi, per diventare asset di riferimento nelle transazioni digitali.
La promessa degli stablecoin è infatti di adempiere alle tre funzioni cardine di qualsiasi tipo di valuta: mezzo di scambio, unità di conto, e riserva di valore.
Cerchiamo ora di capire meglio come si può cercare di mantenere fede a queste tre promesse.
Il meccanismo alla base di queste monete richiede che l’emittente, della criptovaluta, detenga una garanzia collaterale e gestisca l’offerta attraverso incentivi commerciali. Esistono tre tipi di collaterale: Fiat, Cripto, e Non-collaterale.
- Il primo caso è molto semplice: l’emittente della moneta funge anche da garante del collaterale. Ovvero, crea una riserva di collaterale in moneta fiat (USD, EUR, YEN), ed emette criptovaluta ad un tasso di scambio tipicamente 1:1. Il garante mantiene la riserva di moneta Fiat che garantisce il valore alla criptovaluta. Chiaramente in questo caso si crea un rapporto di dipendenza diretta tra la criptovaluta e la Fiat scelta.
- Invece di usare moneta Fiat possiamo anche usare un’altra criptovaluta come garanzia, in questo caso la valuta avrà un collaterale denominato in criptovaluta. Il deposito, quindi, non sarà in USD (o EUR, YEN), ma in una criptovaluta come Bitcoin, Ethereum, od altre. Ma, a causa del fatto che le criptovalute sono molto più volatili della moneta Fiat, l’emittente dello stablecoin dovrà accumulare un collaterale più alto per compensare l’alto volatilità e quindi il rischio di una forte riduzione nel valore della riserva.
- Infine, ci sono gli stablecoin non garantiti. Il concetto alla base di queste monete è che l’aspettativa stessa del valore funge da garanzia. Ovvero, la convinzione che lo stablecoin manterrà un certo valore è il backup di questo sistema.
Nonostante però queste promesse, la realtà economica del sistema di ancoraggio di una criptovaluta presenta difficoltà più o meno estese dal sistema di collaterale che si intende adottare. Infatti, dal crollo nelle ultime settimane della crypto “Terra-Luna”, la comunità cripto si sta rendendo sempre più conto che il sistema di ancoraggio ad una moneta Fiat rappresenti la miglior possibilità di ottenere un vero stablecoin, capace di tener fede alle tre promesse che lo renderebbero una valuta, invece che un asset puramente speculativo.
Ma anche l’ancoraggio o peg ad una moneta Fiat non è cosa semplice. Per funzionare questo ancoraggio deve infatti essere supportato da una riserva di moneta reale, ad esempio USD, al quale i possessori dello stablecoin possono, in qualsiasi momento, avere accesso per liquidare la propria posizione.
La storia macroeconomica però ci insegna che le economie che riescono a mantenere con successo l’ancoraggio ad una moneta sono quelle caratterizzate da flussi denominati perlopiù dalla moneta di ancoraggio.
Guardiamo ad esempio la Cina prima del Luglio 2005, la sua capacità di mantenere l’ancoraggio al Dollaro deriva dalle sue esportazioni in America. Le aziende cinesi ricevono dollari americani come pagamento per le loro esportazioni, che depositano nelle loro banche in cambio di Yuan. Le banche locali cinesi trasferiscono dollari alla banca centrale cinese, che li accumula nelle sue riserve di valuta estera, aumentando quindi le proprie riserve e la propria capacità di intervenire sui mercati forex per mantenere il livello di ancoraggio prefissato.
Ma se le pressioni speculative contro l’ancoraggio superassero la capacità della Banca Centrale, ovvero superassero le proprie riserve, allora si rischierebbe la rottura dell’ancoraggio, portando con sé conseguenze più o meno catastrofiche per la moneta locale e l’economia del paese.
Conseguenze che abbiamo avuto modo di osservare per il protocollo UST/Terra-Luna. Ma cosa ci insegnano gli sviluppi delle ultime settimane?
Sembra quindi che gli stablecoin non possano fare affidamento su un puro meccanismo algoritmico per resistere a scenari di forte volatilità, ma hanno bisogno di strutturarsi attorno a garanzie tangibili che assicurino una base solida per i possessori quando il meccanismo di stabilizzazione organica non può essere implementato. Il lato positivo però di questo crollo del protocollo Terra-Luna è la dimostrazione che i mercati delle criptovalute sono in grado di filtrare i protocolli che non possono sostenersi organicamente. Rimane però da chiedersi se questi strumenti di stabilizzazione, in un ecosistema distaccato dall’economia reale e dai suoi flussi di capitale, siano abbastanza per rendere le criptovalute una moneta realmente e veramente indipendente.